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Ceis o anfiteatro?

L’estate in corso, fortunatamente, non è delle più torride. Ma ad alzare la colonnina di mercurio sotto l’Arco d’Augusto ci pensa il dibattito politico, che nelle ultime settimane ha visto susseguirsi numerosi e intensi botta e risposta. L’arena dello scontro, termine appropriato, è l’anfiteatro romano e, più nello specifico, ciò che vi si trova sopra: il Centro Educativo Italo Svizzero (Ceis). L’antica e importante opera romana, basti pensare che la sua arena calpestabile ha le stesse dimensioni di quella del Colosseo, si trova da oltre 70 anni a “ospitare”, sul proprio sito, il villaggio educativo italo-svizzero (1946), la cui attività e potenza pedagogica è ampiamente rinomata e riconosciuta a livello internazionale. Da dove nascono, dunque, le recenti frizioni politiche? Le opposizioni locali denunciano il fatto che gli edifici del Ceis sarebbero stati costruiti, a loro tempo, senza le dovute autorizzazioni, trattandosi l’anfiteatro di bene storico vincolato da Decreti Ministeriali di inizio Novecento. Da qui l’esigenza espressa delle dovute verifiche. Cerchiamo di fare il punto sulle fasi del recente dibattito politico.

Il Ceis
Piccola parentesi per mettere a fuoco il grande imputato. Il Centro Educativo Italo Svizzero di Rimini è un villaggio per bambini dai 2 ai 14 anni, nato nel 1946 a Rimini, a seguito dell’azione di solidarietà internazionale del Soccorso Operaio Svizzero, un’organizzazione umanitaria che aveva lo scopo di portare aiuto ai perseguitati dai nazisti e dai fascisti. L’organizzazione incaricò la giovane Margherita Zoebeli di una missione impegnativa: edificare a Rimini una scuola con legname spedito direttamente dalla Svizzera e con pietre in loco, in accordo con gli operai e gli antifascisti riminesi. Nacque così un villaggio studiato a misura di bambino, che con le sue attività divenne nei suoi primi anni di vita uno dei centri propulsori della nuova pedagogia italiana. Innegabile, dunque, il valore del Ceis e di ciò che rappresenta. Il problema è, infatti, un altro. Probabilmente a causa della natura emergenziale della realtà riminese dell’immediato dopoguerra, il Ceis fu costruito proprio sopra il sito dell’anfiteatro romano senza tenere conto della sua natura di bene archeologico, vincolato dal Ministero dal 1913. Da qui, dunque, le (accese) richieste di accertamento della legittimità delle strutture del Ceis da parte delle opposizioni. Richieste di accertamento che, almeno fino a quando non saranno pronti i documenti, il Ceis preferisce non commentare.

L’inizio dei controlli
Il dibattito si è acceso lo scorso 2 luglio, quando nella seconda commissione consiliare presieduta da Cristiano Mauri (Lega) si è discussa la questione. È in questa commissione che la situazione ha cominciato a muoversi: l’ingegnere Carlo Mario Piacquadio, dirigente allo sportello edilizia del Comune riminese, ha dichiarato che ora partiranno le verifiche, una serie di controlli che determinino cosa è stato costruito con le dovute autorizzazioni e cosa no. “Abbiamo iniziato a fare una ricognizione delle pratiche presenti nell’archivio edilizio, – le parole di Piacquadio –  ma andranno verificate anche eventuali delibere di giunta o di consiglio che hanno approvato progetti con la valenza di opera pubblica. La valutazione sarà piuttosto complessa perché a partire dal 1950 sono stati attivati ben 24 procedimenti. I più recenti sono interventi di natura manutentiva, ma i primi interventi nell’area del Ceis, quelli che vanno dagli anni ’50 agli anni ’60, sono tutti provvedimenti espressi della pubblica amministrazione comunale. Non ci sono da considerare solo le opere costruite e la verifica dei titoli autorizzativi, ma anche il regime delle tolleranze edilizie e il principio del legittimo affidamento”. In cosa consiste questo principio? “Nel 1969 – prosegue Piacquadio – è stata rilasciata una licenza edilizia, che abbiamo agli atti e nella quale è citato anche un parere della Soprintendenza, che consente di sostituire le vecchie baracche con dei fabbricati. Molto probabilmente quella licenza rilasciata in maniera espressa ha generato qualche principio di legittimo affidamento nel soggetto Ceis”. Ma a controlli in corso, non ci si può spingere oltre le ipotesi. Al momento, dunque, questa è la situazione: i dirigenti comunali si sono impegnati a reperire presso il Ministero tutta la documentazione necessaria per verificare che tutto ciò che è stato costruito nel sito archeologico sia compatibile con le autorizzazioni. Se tutto procederà senza intoppi, i documenti saranno disponibili tra settembre e ottobre, e proprio in autunno la discussione si sposterà in consiglio comunale. Non resta che aspettare.

L’opposizione all’attacco
Come anticipato, dure sono state le denunce pervenute dalle opposizioni. Da una parte FI con il consigliere comunale Carlo Rufo Spina, che ha dichiarato: “I tecnici mi hanno confermato che non c’è nessuna convenzione col Comune per l’utilizzo dell’area. C’è sempre la ormai tipica ambivalenza dell’amministrazione Gnassi: a parole sono d’accordo con lo spostamento ma in concreto non hanno fatto nulla in sette anni. Dal punto di vista politico per l’amministrazione il Ceis è intoccabile”. Ma ad entrare completamente a piedi pari nel dibattito è il consigliere della Lega Marzio Pecci. “Il Dirigente ingegner Piacquadio – le parole dell’esponente del Carroccio – dopo aver affermato che la situazione urbanistica gli era sconosciuta, ha dichiarato di prendere atto della denuncia e ha promesso che provvederà agli opportuni controlli per verificare la legittimità o meno della struttura. Anche il PD, per voce di Petrucci, è d’accordo sullo spostamento. Il dibattito, in autunno, sarà portato in Consiglio Comunale. Dopo due anni di denunce ci si augura che l’illegittimità degli abusi edilizi, perpetrati dal 1950 ad oggi dal Ceis con la collusione degli Uffici Comunali, abbia finalmente fine, ma soprattutto si possa dare inizio al recupero di un patrimonio storico che è secondo solo al Colosseo”. E non solo. Duro anche l’attacco all’assessore alle Arti Massimo Pulini, considerato reo di aver abbandonato prematuramente la discussione. “Il comportamento arrogante dell’Assessore non può che essere punito con la richiesta di dimissioni. Non è degno di ricoprire l’incarico. La sua arroganza  – continua Pecci – nel voler nascondere e giustificare gli abusi edilizi della struttura con l’aberrante tesi della stratificazione delle opere, come se si trattasse di un dipinto, offende l’intelligenza non solo dei consiglieri comunali, ma di tutti i cittadini onesti. Non è pensabile che i consiglieri, che legittimamente chiedono, in Commissione di Controllo e Garanzia, conto su abusi edilizi commessi abbiamo come risposta la fuga dell’Assessore. Il Dirigente dottor Mazzotti, dopo aver dichiarato che non esiste alcuna Convenzione con il Ceis e che il bene appartiene al patrimonio disponibile del comune non destinato a produrre ‘reddito o realizzo’, ha concordato sulla necessità di trasferimento”.

E la maggioranza?
Va sottolineato come non siano solo le minoranze a ritenere doverose le verifiche. Favorevoli allo spostamento dell’asilo svizzero, nell’ambito dell’amministrazione, Davide Frisoni (Patto Civico per Gnassi) e lo stesso assessore Pulini, che ha però giustificato lo status quo parlando di stratificazione storica, davanti alla quale “si impone la considerazione e l’importanza del livello storico del bene che si trova sopra ad un altro bene”, e a cui bisogna approcciarsi caso per caso. Pulini, infine, suggerisce anche quella che potrebbe essere la nuova sede del Ceis: l’ex Vivaio Fabbri. “Basterebbe alzare il sedime di 50 centimetri per essere fuori dalla zona alluvionabile, quella per me continua ad essere l’area migliore per uno spostamento rispettoso del Ceis”. Favorevole agli accertamenti anche Matteo Petrucci, consigliere PD, che però non accetta la durezza degli attacchi e decide di rispondere pubblicamente. “L’unica arroganza che ho notato, nelle oltre tre ore di discussione, è stata quella palesata dalla minoranza. Piacquadio interrotto spesso e bruscamente durante la sua esposizione, solo perché gli aspetti tecnici e legislativi che evidenziava non combaciavano con la visione faziosa e limitata dal paraocchi di alcuni consiglieri di minoranza”. E, sull’intervento del leghista Pecci che indicava Petrucci come in linea con la minoranza, l’esponente PD conclude: “Il sottoscritto, tirato in ballo dal consigliere Pecci per avvalorare le sue tesi, non è minimamente d’accordo con nessuna delle ipotesi avanzate dalla Lega e dalla minoranza in generale. Ipotesi che per quanto mi riguarda metto sullo stesso livello delle teorie del complotto, delle scie chimiche, della comparsa di minotauri e della fine del mondo che doveva avvenire nel 2012”.

Simone Santini