Home Attualita C’è chi sta alla porta e bussa. E chi apre alla speranza

C’è chi sta alla porta e bussa. E chi apre alla speranza

profughi

Accogliere o rifiutare. Questa la sostanziale differenza tra l’approccio del mondo parrocchiale al delicato tema dell’immigrazione, e quello delle Amministrazioni comunali della provincia. I Comuni di Rimini, infatti, sono quelli che più dicono no (60%), mentre le parrocchie aprono le braccia. A Rimini la prima ad attivarsi è stata la parrocchia di San Gaudenzo, seguita a ruota dall’Unità Pastorale della Colonnella, e dalla parrocchia del Crocifisso. Ma non solo: ora rispondono anche la Valconca e l’Unità Pastorale di Morciano. Di fronte ad un fenomeno umano del genere, tante persone delle parrocchie di Morciano, Montefiore, Gemmano e Sant’Andrea – San Clemente hanno deciso di dedicare del tempo per l’accoglienza dei migranti per scongiurare il “vizio” di una società sempre più individualista e piena di pregiudizi.
Sto alla porta e busso è il nome del gruppo che ha unito le forze per dare risposte concrete a bisogni drammatici e altrettanto concreti. Massimo Gabrielli è tra i protagonisti del progetto.

Come nasce questa esigenza?
“Abbiamo sentito bussare e ci siamo sentiti interpellati. Ognuno di noi ha risposto ad un appello umano. Dopo la sollecitazione di papa Francesco, a febbraio una piccola équipe ha organizzato un primo incontro di sensibilizzazione rivolto all’unità pastorale, che ha risposto presente. In seguito, a maggio, c’è stato un altro momento, ricco di testimonianze. Un incontro nel quale gli operatori della Caritas di Rimini ci hanno spiegato cosa fare concretamente per accogliere persone. In estate ci siamo resi conto che era giunto il momento di agire e così abbiamo avanzato la proposta al consiglio pastorale, ai responsabili della Caritas di Morciano e al gruppo missionario”.

Chi ha avuto il coraggio di buttarsi?
“A settembre sono stati scelti i nomi di coloro che ora fanno parte dell’équipe di accoglienza, a partire dai nostri preti. I coordinatori del gruppo sono Silvia Pangrazi e Annarita Ciuffoli. Siamo in tanti e ognuno ha il proprio ruolo: Sara Battistoni si occupa dell’amministrazione e della contabilità; Maria Pilar Mura dei rapporti e dei contratti con gli immigrati; Assuntina Bedetti pensa al supporto culturale per la lingua italiana; Elena Maltauro all’inserimento nel sociale, mentre Alessandro Selva s’interessa alla logistica contrattuale. Infine ci sono i «manovali», coloro che fanno ciò di cui c’è bisogno nel quotidiano. Oltre al sottoscritto, ci sono Luca Bellini, Chiara Ferrari, Lucia Pazzaglini e Mario Carbone. L’operatrice della Caritas di Rimini Antonella Mancuso ci aiuta e ci sostiene in tutto e per tutto”.

Qual è la forma di accoglienza?
“Facciamo le cose in grande, nel senso che una famiglia di Morciano ci ha dato un appartamento in comodato per il tempo necessario per questa esperienza. Così 4 ragazzi potranno usufruire della loro generosità e della nostra ospitalità. Il loro arrivo è previsto nei prossimi giorni e non vediamo l’ora di conoscerli di persona”.

Da dove arrivano?
“Due sono senegalesi e due nigeriani, tutti provenienti dalla Caritas riminese, dove hanno trascorso già diversi mesi. Il Tribunale sta ancora valutando la loro situazione: per ora hanno un permesso temporaneo, che sarà rinnovato finché non saranno riconosciuti come profughi o emigranti. Nella casa in cui saranno ospitati ci staranno finché non sarà definito il loro caso, poi potranno decidere se rimanere o se andarsene. Sono arrivati in Italia nel modo più comune, ma anche più brutale: con i barconi. E adesso che hanno già più di quattro mesi di soggiorno in Italia, hanno diritto a cercarsi un lavoro. A Morciano i ragazzi riceveranno ogni giorno 2.50 euro dalla Caritas per il loro fabbisogno personale, mentre la Caritas stessa a sua volta riceverà i fondi dalla Comunità Europea per il loro mantenimento.
L’Europa riconosce una cifra che si aggira intorno ai 500-600 euro al mese a persona. Nel nostro caso riusciamo a risparmiare sull’affitto, in quanto ci sono da pagare solo le utenze. Ciò che resta viene destinato alla Caritas che può così investire il denaro in altre situazioni altrettanto delicate”.

Tommaso Mazzuca