Home Attualita “C’è una cultura sportiva limitata”

“C’è una cultura sportiva limitata”

Ha vissuto l’epoca d’oro dello sport riminese e anche il suo lento declino. Ha tifato, ne ha scritto e ora veste i panni di presidente. Carlo Ravegnani, giornalista professionista, è, dopo Paolo Stefanini, il nostro secondo interlocutore con il quale soffermarsi sul perché di questa crisi cronica e sulle possibili soluzioni.

Carlo, partiamo dall’inizio, dal periodo in cui lo sport, a Rimini, era capace di fare il sold out in palestre, palazzetti e stadi.
“Allora parliamo della fine degli anni Settanta, inizio degli anni Ottanta. Il massimo per un ragazzo che come me amava calcio, pallavolo, baseball, pallacanestro. Ricordo che i fine settimana erano tutti incentrati sullo sport. Il sabato pomeriggio giocava una delle due squadre di pallamano, poi, era la volta della pallavolo con il Rimini di Maurizio Campana. La domenica mattina ci si alzava presto e si andava a vedere l’altra squadra di pallamano, poi alle 14.30 c’era il Rimini calcio e spesso succedeva che si concludeva la giornata al “Flaminio” con il basket. Ricordo che quando i campionati terminavano, iniziava il baseball che è stato capace di portare anche oltre 4mila persone in via Monaco. E quindi, praticamente, per uno che amava lo sport l’anno era tutto impegnato. E si badi bene, non si parla di campionati minori, ma di serie A fino alla C del Rimini”.

Sono gli anni in cui fai anche il tuo primo salto della staccionata: da tifoso a giornalista.
“Esattamente. Ho avuto la fortuna e il privilegio di trasformare la mia passione in un lavoro. In quegli anni ho avuto modo di girare l’Italia ed è stata un’esperienza magnifica. Raccontare ad altri le gesta delle squadre della tua città è un qualcosa che ti regala grandi emozioni”.

Poi, però, è iniziato il declino.
“Che ancora oggi non si è fermato. Sembra una valanga che ogni anno travolge tutto e tutti. Si è iniziato con la squadra di pallavolo di Campana, era in serie A, ma nonostante tutti gli sforzi fu costretta a rinunciare al campionato successivo. Cosa che ai cugini di Viserba è capitata non una, ma ben due volte. Poi la pallamano maschile e femminile che, vorrei ricordarlo, ha regalato alla città due Scudetti e una partecipazione alla Coppa Campioni. Poi è stata la volta del calcio che ancora oggi non ha trovato una proprietà che possa regalare tranquillità e serenità. La pallacanestro finita nell’oblio, senza dimenticare anche l’hockey, in pochi se lo ricordano, ma la squadra femminile era in serie A. E, infine, la grande vergogna con la rinuncia del Baseball Rimini. Questa davvero è una cosa che ancora oggi fatico a mandare giù. Bastava poco, pochissimo e, invece, abbiamo buttato una storia gloriosa nel cestino. Da addetto ai lavori e da tifoso ogni volta che una serranda si abbassava è stato sempre un colpo al cuore. Anche con il mio giornale, il “Corriere Romagna”, abbiamo fatto campagne per cercare di salvare il salvabile, ma nulla”.

Secondo te c’è un motivo per questo declino inesorabile?
“Di motivi non ce n’è solo uno, ma ce ne sono diversi. Oggi tutto è diventato maledettamente complicato. E la colpa è della grande burocrazia. Faccio un esempio molto pratico. Quando eravamo giovani, e non parlo del paleolitico, ma di 25-30 anni fa, si andava tutti a giocare al parco. Ricordo sfide epiche a calcio e baseball. Oggi, purtroppo, non si può. Ci sono regolamenti che, per un motivo o per un altro, lo vietano. E già, questo, dal punto sociale è un errore imperdonabile. Vogliamo parlare poi delle difficoltà a recuperare sponsor? Perché è inutile girarci tanto attorno, i soldi servono, eccome se servono, soprattutto se vuoi fare bene il tuo compito. E penso soprattutto ai tanti settori giovanili dove, magari, allenano a costo di grandi sacrifici genitori o volontari perché non ci sono denari per pagare gente preparata. Ma questo è un discorso più ampio legato alle politiche dello sport che in Italia non è certamente una priorità come in altri paesi europei. Basta vedere quello che accade a scuola e le ore a disposizione. Tornando alla burocrazia, una volta il rapporto tra Amministrazione e società era più diretto, più collaborativo e si badi bene, non sto dicendo che a Rimini questa collaborazione manchi, dico che è bloccata spesso da tanti cavilli. E quindi, alla fine, chi fa sport si sobbarca una grande responsabilità”.

Che a volte porta ad eccessi come ti è capitato poche settimane fa.
“Ti riferisci alla multa?”.

Esattamente.
“Faccio una premessa. Non so se noi abbiamo sbagliato, ma se giriamo per la città, di volantini appesi ai muri, ai pali della luce, e via dicendo ne troviamo a decine. Il nostro, ma poteva essere di qualsiasi altra società, era un foglietto nel quale si invitavano i ragazzi a provare il baseball, niente di più. Lo scopo di una società sportiva a livello dilettantistico deve essere anche, e soprattutto, quello di coinvolgere i ragazzi a uscire di casa, a mettere giù telefonini e play-station per fare attività fisica, per socializzare, stare insieme, per mettersi alla prova. Ma, come dicevo, la burocrazia sta uccidendo tutto. Questo simpatico episodio ci è costato 454,40 euro che, fortunatamente, e qui devo ringraziare Gianluca Tamburini che ha lanciato una raccolta fondi, è stato già saldato. Ma se ci pensate è assurdo”.

Paolo Stefanini ha parlato di città disattenta allo sport, sei d’accordo?
“Ho letto l’intervista a Paolo e sono completamente d’accordo con quello che ha detto. Lui è l’esempio di come la burocrazia possa uccidere un sogno. Anzi, un doppio sogno. Ho vissuto in prima persona il suo dramma sportivo e ancora oggi, quando ci penso, sto male perché conosco bene i sacrifici che lui e il povero Walter Rinaldi hanno fatto. Alla sua lucida analisi aggiungo una cosa: Rimini ha una cultura sportiva limitata. Ha uomini di grandi idee, che conoscono bene il mondo dello sport, ma che non riescono a creare un qualcosa di importante. Faccio un altro esempio: sento dire che Rimini è al primo posto come polo turistico-sportivo in Italia. Per molti è una buona notizia, ma se andiamo a vedere gli eventi sono di basso livello qualitativo. Invece, se ci spostiamo di una decina di chilometri verso sud abbiamo una città come Riccione che ha una piscina dove ogni anno, a volte anche due volte, vengono personaggi come la Pellegrini, Rosolino, Paltrinieri, Detti, Magnini. Noi è da 30 anni che non abbiamo una piscina degna di questo nome. Vogliamo parlare di ciclismo? Poche settimane fa Riccione è stata tappa del Giro d’Italia, la corsa ciclistica più importante nel panorama nazionale. E mi volete far credere che Rimini non abbia le risorse per fare come Riccione? Ma scherziamo! È che Riccione ha fatto una scelta e l’Amministrazione di Rimini un’altra. Da rispettare, ma che condanna inesorabilmente lo sport”.

Secondo te come si può uscire da questa situazione?
“Ripartirei dal basso, dai giovani, cercando il più possibile di sburocratizzare le tante pratiche e di incentivare le persone che vogliono investire nelle varie discipline”.