Camici non per soldi ma per amore

    Hanno raccontato le loro storie. Hanno messo a nudo i loro sentimenti. I più atroci, come vedere morire bimbi innocenti per colpa dell’Aids. Ma anche i più felici, come il sorriso di gratitudine di un ammalato. Hanno gridato tutto il loro disappunto per quello che si potrebbe fare “perché ci sono malattie curabilissime, basterebbe davvero poco”. Lo hanno fatto davanti a decine e decine di persone intervenute al convegno organizzato e promosso dall’Ordine dei Medici chirurghi e Odontoiatri della provincia di Rimini con il fine dichiarato di favorire una sensibilizzazione verso le problematiche sanitarie dei paesi in via di sviluppo, e per fare crescere una cultura della solidarietà e della corresponsabilità delle persone più deboli.
    “Abbiamo inteso, con questo convegno, – ha detto nel suo intervento il presidente dell’Ordine, Geo Agostini – stimolare l’interesse e la disponibilità a contribuire, con la propria professionalità, a progetti di cooperazione sanitaria. Questo possibile esito, non scontato, può essere favorito dal confronto con chi, avendo già avuto possibilità di fare questo tipo di esperienze, desidera comunicare a tutti l’entusiasmo e la ricchezza di un cammino umano e professionale per lo sviluppo e l’integrazione dei popoli”.
    Agostini si è soffermato anche sul ruolo del volontariato nella nostra regione e nella nostra provincia.
    “In Emilia Romagna ci sono 5mila associazioni di volontariato a cui fanno riferimento complessivamente 1.300.000 persone. Però soltanto un decimo di queste sono impegnate nel volontariato attivo. È necessario a nostro parere organizzare il sistema del volontariato in maniera diversa, razionalizzare l’intero sistema, non trascurando una componente di lavoro retribuito per quanto riguarda i lavori più pesanti”.

    Rimini,
    provincia generosa

    Durante il convegno, cinque medici riminesi hanno raccontato la loro esperienza. Un’esperienza molto importante dal punto di vista umano e professionale di cooperazione sanitaria con i paesi in via di sviluppo. Il dottor Giovanni Cecchini, con esperienze in Etiopia e Tanzania; il dottor Antonio Manzo, con esperienze con la Croce Rossa a Bagdad dove è stato nel 2003 e nel 2005, nei mesi di maggio e giugno, nello Sri Lanka, nel dopo Tsunami; la dottoressa Maria Elena Pesaresi, che lavora nello Zimbawe; il dottor Domenico Samorani, attualmente dirigente dell’Ausl di Rimini, che ha avuto delle esperienze in Uganda nel campo della cooperazione socio-sanitaria, e infine il dottor Gianluigi Valentini, che ha fatto la sua esperienza in Albania.

    Quando ritorni
    sei diverso

    Chi ha meglio sintetizzato il lavoro e l’impegno e il senso più profondo della cooperazione socio-sanitaria dei nostri medici nei paesi in via di sviluppo, è stato il dottor Antonio Manzo, medico chirurgo, che nel suo intervento ha detto di ritenersi “una persona fortunata, perché ho avuto la possibilità di fare questa esperienza, quando si ritorna a casa si torna diversi”.
    A Bagdad il dottor Manzo ha lavorato in un ospedale da campo organizzato presso il cortile di un carcere di massima sicurezza costruito da Saddam Hussein, mentre nello Sri Lanka era stato allestito un ospedale di fortuna praticamente sulla sabbia.
    La dottoressa Maria Elena Pesaresi ha raccontato la sua esperienza di medico da 44 anni in Africa, da 10 anni lavora in un ospedale a 170 chilometri dalla capitale Harare.
    “Mi sento un po’ come la voce dell’Africa, sono nel continente nero da 44 anni, mi sento più medico in Africa, legato alla gente che ogni giorno viene a farsi curare da noi che medico in Italia. Nel mio lavoro in Africa, mi ha sempre guidato un senso di giustizia, cioè dare la possibilità agli ammalati di accedere a una medicina qualificata, grazie all’aiuto dei medici e del personale qualificato che viene dall’Europa. Abbiamo creato anche una scuola professionale per infermieri rivolta alla gente del posto”.
    Gente del posto sempre più piagata da quel flagello che è l’Aids “Nel nostro ospedale ci sono in cura circa mille persone malate di Aids”. Insomma, una vera e propria emergenza sanitaria come ha raccontato più dettagliatamente anche il dottor Samorani attualmente dirigente dell’Ausl di Rimini, ma che per quattro anni è stato medico in Uganda, presso il S. Joseph Hospital, dove nella sala parto dell’ospedale sua moglie ha partorito due figlie.
    “Durante quei 96 mesi ci sono stati due colpi di stato, due guerre civili, con il corollario di violenze tribali fra le più atroci di tutta l’Africa – ha raccontato con un filo di emozione – il senso più profondo della cooperazione sanitaria non sta tanto negli aiuti che vengono dall’Europa che servono per costruire le strutture, quanto nella condivisione di un progetto con gli ammalati stessi; questo fatto provoca un sentimento di emulazione fra le persone, quindi più che le risorse economiche che sono anch’esse importanti, sono l’educazione e la valorizzazione delle risorse umane il vero motore principale dello sviluppo. L’Uganda è un paese instabile da sempre sull’orlo dell’abisso. Ci sono 250mila persone che muoiono ancora di malattie che la nostra medicina definisce curabili. Per questo si deve parlare per quanto riguarda l’Africa e nella fattispecie dell’Uganda, di vera e propria emergenza sanitaria”.

    Patrizio Placuzzi