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Autenticamente umano, grazie a Gesù

San Paolo è un personaggio ideale da intervistare. Lucido ed asciutto nelle risposte ma anche esausitivo. La sua conversazione, amabile e comunicativa, frutto di tanta esperienza missionaria, invita l’intervistatore ad osare. Sul placido panorama delle dolci colline verdi che fanno da cornice alla via Ostiense un sottile venticello serale (il “ponentino” cantato in tanti stornelli romani) ci invita a sederci al tavolino di un chioschetto. Non si riesce a nascondere una certa sorpresa quando ordina un bicchiere di fresco vino bianco dei castelli. Sorridendo vuole quasi giustificarsi «Lo bevo sempre, ma con moderazione, fin da ragazzo. Mi hanno indicato questo rimedio per un certo mal di stomaco, probabilmente dovuto – come dite voi? – al mio carattere viscerale. L’ho prescritto anche al mio giovane collaboratore Timoteo quando divenne vescovo della Chiesa di Efeso “Smetti di bere soltanto acqua, ma fa’ uso di un po’ di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni”(1 Tim 5,23). Vede? Noi cristiani siamo liberi, liberi di agire e liberi di usare di tutti i doni del Signore senza per questo diventare schiavi del vizio o bacchettoni». Questa confidenza invita ad entrare sempre più a fondo nel personaggio Paolo.

Nella nostra ultima conversazione abbiamo parlato dell’episodio di Damasco e di ciò che avvenne. Vorrei tornare su alcuni dettagli, forse anche un po’ curiosi… ad esempio la sua caduta da cavallo.
Quanto al cavallo (lo sguardo di san Paolo è molto divertito) l’ho visto in moltissimi dipinti! Anche se il tono del racconto degli Atti degli Apostoli è un po’ solenne nel presentare il nostro drappello di persecutori, non si parla di cavalli e dovete tener presente che quella non era una delegazione ufficialmente approvata dal dominatore romano, e come avrebbe potuto? No: eravamo un gruppo di giovani fanatici che dovevamo denunciare all’autorità religiosa (il Sinedrio) i gruppi dei seguaci di Gesù. I Romani in realtà non si occupavano troppo di questioni religiose purchè non ci fossero disordini pubblici. Figuriamoci dunque se ci siamo mossi in pompa magna con tanto di cavalli e corazze! Ciò che fu davvero importante è che “caddi” veramente: quella luce e quella voce mi atterrarono, mi misero a “ko”, come morto. Così avviene di solito nell’incontro con Dio come è testimoniato ad esempio in Isaia (6,1-5): il mistero di Dio è talmente grande che un uomo non può sostenerlo a meno che Dio non voglia. Per questo quando ho parlato di quella visione nella mia Prima Lettera ai Corinzi (15,3-11) dico: «Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto». Non lo dissi per umiltà, piuttosto perché mi sentii come morto, almeno morto alla vita che avevo condotto fino allora. Anche nella Lettera ai Galati (1,11-17) riprendo questo concetto facendomi aiutare dal profeta Geremia (1,5):«Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto nè l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perchè lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco». Tra tutti i dipinti che mi riguardano quello del Caravaggio mi piace davvero tanto. Mi ha raffigurato caduto di schiena, con gli occhi chiusi, tramortito, avvolto nel rosso mantello come in un lago di sangue, proprio “abortito”, ma con le mani tese verso la luce di Gesù Signore. Sopra di me stanno il cavallo con lo stalliere, tranquilli come se nulla fosse accaduto.

Si dibatte molto tra gli studiosi dei suoi scritti se la sua sia stata una conversione o piuttosto una speciale «vocazione». Lo ritiene un dibattito importante? Infondo lei anche da cristiano ha continuato a credere nel Dio di Abramo…
Beh – risponde divertito – voi specialisti complicate sempre un po’ le cose. La Chiesa da secoli festeggia la “conversione di San Paolo” e adesso voi dite che è una «vocazione»! In realtà l’amico Luca negli Atti degli Apostoli utilizza lo schema di racconto tipico delle vocazioni profetiche dell’Antico Testamento (Atti 26,6). Io non mi sono mai presentato come un ebreo “pentito”: il mio ebraismo è rimasto intatto ma con la convinzione, attraverso l’incontro con Gesù Risorto, di aver approfondito e completato il mio essere ebreo. Del resto questo è vero per tutti: Gesù rivela fino in fondo la nostra umanità più autentica. L’incontro con Gesù ha dato dunque un orientamento completamente nuovo alla mia esperienza religiosa, ma non l’ha cancellata. Così mi esprimo in una delle mie ultime lettere, quella ai Filippesi (3,4-17): «Se alcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui: circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge; quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge. Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo… E questo perchè io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perchè anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù». Sì, amico mio, Gesù mi ha conquistato e tutto davvero è cambiato, e in meglio.

In tutto questo quale ruolo hanno svolto i primi cristiani che Lei ha incontrato? Ovviamente la temevano e forse non avranno creduto al suo cambiamento.
Questa domanda mi permette di dire una cosa che mi sta molto a cuore. Io, come tutti del resto, non sono diventato cristiano da solo. Certo l’incontro che ho avuto con Gesù Risorto sulla via di Damasco è stata una grande grazia del Signore. Ma subito (come si può vedere dal racconto dei Atti 9,6) la voce del Signore mi ha indicato la Chiesa come il luogo in cui fare il mio cammino di cristiano: «Ma tu alzati ed entra nella città e ti sarà detto cosa devi fare». Ho scoperto il mio compito, la mia missione, non direttamente da Gesù, ma tramite un altro cristiano della comunità di Damasco, nella quale entrai non più da persecutore, ma da discepolo e dove feci il mio cammino di iniziazione cristiana fino al Battesimo, si tratta di Anania. Sa? Per me lui fu quello che è stato per ognuno di voi il proprio Parroco ed insieme il proprio catechista. Era un uomo semplice e credo che dovette molto fidarsi di Dio che lo mandò da me (aveva davvero una fifa blu, perché sul mio conto ne aveva sentite tante) eppure venne, ed anche lui dovette fare la sua… conversione! Fu un amico, un fratello, un compagno dolcissimo. Mi guarì dalla mia cecità, mi spiegò le prime cose della dottrina cristiana, mi preparò al Battesimo, mi fece il dono dello spirito Santo con l’imposizione delle mani, mi aiutò a capire il grande mistero dell’Eucaristia ed il perdono dei peccati in Gesù Signore. Mi introdusse anche nella comunità cristiana. Insomma anche per me, come per tutti, non c’è stato Gesù senza la sua chiesa. Non ho mai dimenticato la piccola comunità di Damasco ed il mio buon “parroco” Anania. Anche quando mi trovai ad Antiochia, e poi a Corinto e poi a Roma, ho sempre pregato per quella piccola comunità perseguitata che mi ha fatto il dono più grande: il Battesimo. E dire che alcuni dotti e saputi maestri di ateismo hanno sostenuto che io sia stato il fondatore del cristianesimo! Certo ho organizzato le comunità che mi erano affidate, le ho dotate di una struttura pastorale e missionaria, ma tutto quello che ho creduto, tutto quello che ho vissuto nella fede, lo devo alla Chiesa di Gesù Cristo che viveva in Damasco, che mi ha accolto, perdonato e nutrito nella fede. La Chiesa, suo corpo, la Chiesa sua sposa, la Chiesa sua voce, come avrei poi scritto nelle mie lettere.
(3 – continua)

a cura di G. Benzi