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Attenzione al tempo e ai contenuti

È normale che mio figlio guardi per un’ora uno youtuber che fa videogames invece di giocare lui stesso? Mi capita di ricattare mio figlio con l’uso dello smartphone: è così sbagliato? Perché i miei figli adolescenti stanno ore a chattare ma devo insistere per farli incontrare con gli amici? E ancora: come faccio a proibire lo smartphone a mia figlia quando tutti ce l’hanno?
Queste sono alcune delle domande dei genitori alle prese con l’educazione nell’era della tecnologia, al termine dell’incontro “Essere genitori ai tempi di smartphone, tablet e social media”, primo di un ciclo di tre incontri organizzato dal Centro per le Famiglie di San Marino e promosso da CIS – Credito Industriale Sammarinese – con il patrocinio della Giunta di Castello di Serravalle.
A Silvia Ceccoli, psicologa e psicoterapeuta relatrice dell’incontro, chiediamo come orientarci tra nuovi device, internet ed educazione.

Come ci sta cambiando la vita il digitale?
“La tecnologia sta cambiando il modo di funzionare del nostro cervello tanto che alcuni studiosi sono arrivati a definire l’homo sapiens digitalis. Internet e mondo digitale sostanzialmente influenzano lo sviluppo cognitivo, il comportamento sociale, lo sviluppo dell’identità e quello emotivo”.

Si modifica anche il nostro cervello, quindi?
“Stiamo sviluppando un nuovo tipo di intelligenza, l’intelligenza digitale, definita così da Ferri nel 2011. Lo stimolo digitale attiva più connessioni neurali contemporaneamente con conseguente aumento di plasticità, velocità di apprendimento e abilità di problem solving. D’altra parte, però, penalizza l’attenzione prolungata, la capacità di approfondimento, l’elaborazione degli stimoli astratti, le abilità simboliche e metacognitive. Questo accade perché l’intelligenza digitale è una facoltà mentale e cerebrale di tipo pratico, simile all’atto di accendere e spegnere la televisione col telecomando”.

Quali effetti ha tutto questo nell’età evolutiva?
“Il primo effetto da considerare riguarda lo sviluppo dell’identità. Il fatto di poter scegliere in qualsiasi momento chi essere permette una sperimentazione di sé che è importante per crescere in adolescenza e preadolescenza, ma può diventare anche confusiva: se si vive troppo tempo nella dimensione virtuale, si rischia di perdere i confini di sè. Poi, l’enfatizzazione degli aspetti narcisisti amplifica il bisogno di piacere, di apparire adeguato e avere più like. Una persona già strutturata sa che si tratta di un gioco e che in sé ci sono altre parti, ma nell’età dello sviluppo il rischio è quello di credere che il proprio valore dipenda dai consensi ottenuti, mettendo in mostra le parti più belle di sé e nascondendo altri aspetti”.

Cosa succede alle emozioni e alla socialità?
“Internet e social media facilitano un certo analfabetismo emotivo dal momento che per riconoscere le proprie emozioni e, di conseguenza, quelle degli altri occorre una relazione che lo schermo necessariamente non può dare. L’inconsapevolezza emotiva genera la perdita di controllo da un lato, una scarsa empatia dall’altro.
D’altra parte la minore esposizione diretta favorisce una maggiore disinibizione, che può essere positiva per una persona timida, che riesce ad avere così delle relazioni sociali, ma può anche far sì che l’aggressività venga espressa in maniera più libera”.

E lo sviluppo sociale…
“Anche lo sviluppo sociale ne risente: i social media creano nuovi ambienti di vita virtuali con mode, tendenze e linguaggi condivisi che definiscono una nuova cultura dell’essere in relazione. Si afferma una cultura della partecipazione e condivisione che, portata all’estremo, fa sì che non si riesca a stare disconnessi e che ognuno si senta autorizzato a esprimere pareri su tutto”.

Come si può fare in modo che i ragazzi abbiano un rapporto corretto con la tecnologia?
“Come su tanti altri aspetti genitoriali, anche qui occorre educare i figli a fare buon uso degli strumenti a disposizione, che non vanno demonizzati perché hanno implicazioni estremamente positive per la nostra vita. È importante però accompagnare i ragazzi e aiutarli a distinguere bene tra reale e virtuale”.

Spesso però prevale la paura che in rete siano esposti a rischi…
“Non è la tecnologia che rende soli, esposti a rischio di violenza e soprusi o dipendenti ma il modo in cui si viene educati ad essa. Non dimentichiamo che compito del ciclo vitale per un adolescente è trovare una propria identità autonoma, contrapponendosi all’adulto e avvicinandosi ai propri pari. Prima lo si faceva uscendo insieme, adesso sono internet e i social media lo spazio ideale da cui gli adulti sono tenuti fuori. Questo manda in crisi i genitori perché c’è meno controllo ma è importante che il genitore capisca che l’adolescente ha bisogno di quello spazio separato. Quello che si può e si deve fare, invece, è stabilire regole sul modo di utilizzare la tecnologia e questo tipo di educazione va fatta già prima dell’adolescenza”.

Da dove cominciare?
“Prima di tutto occorre accettare che ci sia una rivoluzione digitale, chiedersi come la si vive e riconoscere i propri pregiudizi e paure rispetto ad essa. Questo però non vuol dire rinunciare a trasmettere valori, conoscenze e abitudini dell’era analogica: leggere un libro, scrivere a penna, giocare all’aria aperta, suonare uno strumento sono attività in grado di stimolare aree cerebrali e sviluppare competenze diverse che altrimenti si perderebbero”.

Qual è il modo giusto di procedere?
“Dobbiamo fare attenzione ai modi: non lasciare i bambini e i ragazzi soli davanti alla tecnologia ma cercare sempre di spiegare, accompagnare e supervisionare, usando TV, pc, tablet come strumenti di condivisione, stimolandone un uso creativo. È bene riflettere anche sui contenuti, favorendo quelli educativi, le ricerche attive, i giochi interattivi e attivi che pungolano curiosità e creatività, sempre rispettando l’età del bambino. Infine, è importante regolare i tempi di utilizzo. Occorre fare questo lavoro con costanza affinché diventi un’abitudine. Infine, vale la regola, come in ogni campo dell’educazione, di dare il buon esempio, prevedendo anche per sé zone franche dalla tecnologia”.

Romina Balducci