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Atanasio da Coriano, frate pittore

In questo scorcio d’anno Coriano riscopre un suo antenato illustre, anzi addirittura illustrissimo, un artista che seppe interpretare soggetti (quasi esclusivamente religiosi) con raffinata eleganza, un pittore e restauratore di affreschi al suo tempo notissimo in Emilia e nelle Marche oltre che nella Roma papale. Si tratta del francescano Atanasio Favini, corianese d’origine e naturalmente mancato profeta nella sua patria dove è conosciuto solo da pochi, una lacuna che si spera venga presto colmata visto che nel 2009 ricorrono i 260 anni della sua nascita. Francesco Antonio Favini, nato il 31 luglio 1749, a soli sedici anni vestì l’abito francescano dei Minori Osservanti a Rimini prendendo il nome di

Atanasio; insieme ai corsi di teologia, coltivò la sua passione per la pittura studiando a Bologna e Parma. I suoi primi lavori, commissionati dall’ordine, sono distribuiti tra chiese e conventi dei ducati emiliani e delle legazioni romagnole, poi la sua attività frenata dall’arrivo delle truppe napoleoniche prosegue tra Roma, dove restaura ed integra i dipinti dentro la basilica di Santa Maria in Aracoeli, e Macerata dove è costretto a lasciare l’abito francescano. Per diversi anni, all’inizio dell’Ottocento, aprì una bottega d’arte nella città marchigiana presso la quale rimase anche dopo il rientro nel ricostituito ordine dopo la caduta di Napoleone. Favini lavorò molto nella regione vicina, realizzando centinaia di opere sparse nelle tante chiese francescane fino alla sua quasi cecità degli ultimi anni di vita, spentasi nel 1843 quando aveva ben 94 anni, proprio a Macerata.

Il libro strenna
A padre Atanasio Favini è dedicato il volume strenna che la Banca Popolare Valconca ha promosso per questo fine 2008, un omaggio a Coriano dove da poco è stata aperta una delle ultime filiali della banca morcianese.
Una monografia di capolavori, voluta dallo storico dell’arte Pier Giorgio Pasini che da anni si occupa dell’argomento. Nel presentare la figura del Frate, si legge:“Questo volume si occupa di un personaggio fino ad ora pressochè sconosciuto, ma che fa parte della nostra storia, di un frate pittore Minore Osservante, che in religione ebbe il nome di fra Atanasio e che è nato a Coriano nella famiglia Favini. Visse dal 1749 al 1843 e lavorò in un periodo incredibilmente pieno di rivolgimenti politici e culturali: la Rivoluzione francese, Napoleone, i primi moti risorgimentali. Fra Atanasio attraversò questo tempestoso scorcio di storie con umiltà, obbedienza e assoluta fedeltà”.
Il testo ripercorre le tappe principali dell’esistenza e della vita artistica del frate, vicende che sono irrimediabilmente connesse tra di loro. Dalla formazione a Coriano al periodo della maturità, passando per Bologna (1780-1794) e Parma, città nella quale soggiornò per diversi periodi. Era a Parma quando, nel 1796 le truppe francesi conquistarono rapidamente l’Emilia e la Romagna, incluse altrettanto rapidamente nella Repubblica Cisalpina.
“Ne seguirono – si legge nel testo – come è ben noto, soppressioni di conventi e razzie di opere d’arte e, il 26 ottobre, un editto che costringeva i religiosi a rientrare nei loro territori di provenienza”. In questo clima di incertezza e pericolosità il frate dovette abbandonare le città emiliane per tornare a Rimini, nel convento francescano dedicato a San Bernardino, uno degli ultimi in città ad essere soppresso (resistette infatti sino al 1810, anno delle soppressioni generali). Con la soppressione anche padre Atanasio fu costretto a dismettere l’abito degli zoccolanti e a secolarizzarsi.
Ma cerchiamo di descrivere meglio la figura di questo frate artista, così come viene descritto dal professor Pier Giorgio Pasini.

Il ritratto di un artista
“Sembra che padre Atanasio da Coriano, Minore Osservante, sia stato un buon frate: pio, umile, caritatevole, obbediente, di buona reputazione. Osservandone il cadavere, mentre si sussurrava di profumi miracolosi e si insinuava l’idea di avere a che fare con un nuovo santo, un «libero pensatore» non poté fare a meno di esclamare con dispetto: «Vedete questi frati impostori! Hanno l’arte di comparire belli anche dopo la morte». Era l’anno 1843. Di questo frate mi occupo, sia pur saltuariamente, da tempo; non tanto per le sue virtù morali e religiose, che tuttavia sinceramente mi rallegrano, quanto per la sua attività artistica; fu infatti pittore e anzi talvolta ottimo pittore. Un tardo Beato Angelico dunque? In un certo senso sì, dimenticato forse perché vissuto in provincia e in tempi calamitosi tanto per la religione quanto per il suo Ordine, che non ha potuto coltivarne compiutamente il ricordo e conservarne le opere, disperse e nascoste in un territorio vasto e decentrato, e deteriorate dalla dimenticanza e dalla negligenza di laici e religiosi; e soprattutto penalizzate dal fatto che gli studi sulle vicende dell’arte sacra fra Sette e Ottocento languono o sono carenti o appiattite su un indiscriminato giudizio di sterile accademismo. Non è stato facile rintracciare e far fotografare le opere qui (nel testo, ndr) presentate (che sono una minima parte di quelle prodotte dall’artista), molte in cattivo stato, di cui spesso anche i proprietari o i custodi ignoravano la paternità e l’attuale collocazione; del resto molti degli edifici sacri per cui padre Atanasio ha lavorato non esistono più, o sono stati trasformati in ospedali, case di ricovero, abitazioni private, magazzini, e facilmente se ne è persa la memoria. specialmente nelle Marche, dove le soppressioni napoleoniche e le leggi eversive hanno lacerato in maniera assai grave una trama compatta di istituzioni religiose e caritative di antica origine e disperso un patrimonio di storia e d’arte veramente notevole. Sono pochissimi i dati cronologici desumibili con sicurezza direttamente dalle opere: padre Atanasio infatti si è guardato bene, per umiltà, dal firmarle e dal datarle (con una sola eccezione accertata fino ad ora). La ricostruzione del suo percorso artistico è dunque in molti casi puramente indiziaria, e basata su elementi stilistici e su accadimenti storici esterni, oltre che sui pochi dati offerti dai suoi primi confratelli biografi che, vivendo per anni con lui nel suo convento d’adozione (Santa Croce di Macerata), lo conobbero personalmente, lo stimarono gli divennero amici, e appresero da lui stesso notizie riguardanti le movimentate vicende della sua vita; ma videro solo qualche sua opera e guardarono male e poco la sua arte, di cui spesso parlarono per sentito dire sulla scorta di artisti competenti”.
Pasini in questo testo introduttivo parla di un periodo molto importante che il frate passerà a Macerata. Era il 1803, quando Atanasio stava lavorando a Roma (“a Roma il pittore fu chiamato nel settembre del 1801, non appena l’Ordine riebbe a disposizione il convento dell’Aracoeli, per restaurare le opere pittoriche dell’annessa chiesa di Santa Maria in Aracoeli, danneggiata dalle truppe napoleoniche; e specialmente per dipingere due affreschi nella sua navata centrale, nel luogo in cui prima dell’occupazione francese erano la cantoria e l’organo”), quando un nuovo ordine del padre generale chiamo l’artista nelle Marche per un restauro. “A Macerata – prosegue il testo – dove giunse tra la fine del 1803 e l’inizio del 1804, padre Atanasio trovò una situazione disastrosa per quanto riguardava il convento cui era stato provvisoriamente assegnato (Santa Croce) e un po’ tutta la città, che nel 1799 aveva osato ribellarsi agli invasori francesi ed aveva subito un pauroso saccheggio”. Seguì quello che Pasini definisce un periodo di “precaria restaurazione”, nel quale il frate lavorò incessantemente, ma il suo percorso fu attraversato da numerose salite, comprese quelle che incontrò nel convento: “un cantiere in piena attività in cui era impossibile organizzare lo spazio necessario per eseguire i lavori che gli venivano richiesti, cioè il restauro delle pale d’altare della chiesa”.
Il Congresso di Vienna e l’esilio di Napoleone nel 1815 portò al ripristino della religione e dei conventi, riportando tutto nella normalità: “certo nella sostanza non tutto fu più come prima, ma il ritorno all’ordine e alla tradizione fu da principio tranquillizzante, perché finalmente sembrava stabile, definitivo, non preoccupando i primi moti carbonari e le prime infiltrazioni della Giovane Italia (…). Furono anni di grande attività per il nostro ormai anziano pittore, ritornato frate a tutti gli effetti e chiamato a dare la sua opera per ripristinarer conventi e chiese in parte faticosamente recuperati, ma generalmente in pessimo stato, e a fornire pale d’altare per colmare i grandi vuoti lasciati dalle requisizioni e dalle alienazioni di opere d’arte operate in epoca napoleonica e durante il Regno Italico”. Morì nel 1843 a novantaquattro anni.

Tornando ai giorni nostri
Alla celebrazione del pittore non si è voluta sottrarre l’amministrazione comunale corianese, né ovviamente la biblioteca “Battarra”, una vera e propria fucina di iniziative culturali. Il calendario da tavolo, che da diversi anni viene realizzato dal comune e donato alla cittadinanza, per il 2009 ripropone alcune tra le opere più belle di Favini, per la precisione 13 sue opere (due delle quali hanno soggetti mitologici) ed un suo ritratto, realizzato da un confratello, fra Celestino Pesarini da Ancona.
Il calendario, curato da Paolo Zaghini, è stato presentato sabato 13 dicembre, presso la sala della piazzetta Salvoni sul retro del teatro comunale “Cor.Te.”, al termine del tradizionale saluto di fine anno del sindaco Matricardi.

Maurizio Casadei
Angela De Rubeis