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Mamma, che ansia!

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Paura di provare qualcosa di nuovo, paura del buio, paura dell’acqua, paura degli altri. Sono molti i bambini bloccati, terrorizzati dall’idea di rimanere soli e di sbagliare. Come fare? Come combattere contro l’ansia dei nostri figli che diventano sempre più impacciati, irrequieti, goffi, nervosi e rigidi?
La dottoressa Antonella Cagnoli, Psicologa psicoterapeuta riminese, specializzata in psicologia dell’età evolutiva, fa luce su un fenomeno con cui sempre più genitori devono confrontarsi quotidianamente: l’ansia dei bambini.

Da dove arriva l’ansia dei bambini? È in qualche modo legata al mondo delle paure?
“L’ansia è un’emozione funzionale all’adattamento del nostro organismo all’ambiente, le emozioni di base infatti sono la paura e la preoccupazione da cui scaturisce la risposta dell’organismo (che parte da amigdala e ippocampo) il quale attiva i meccanismi base per la sopravvivenza e la protezione: attacco/fuga o congelamento. Questa ansia permette ad ognuno di noi di distinguere i pericoli e di difenderci da essi”.

C’è un identikit del bimbo ansioso? (età, classe sociale, figlio unico, etc…)
“L’ansia dipende sia da fattori temperamentali (il temperamento) sia da condizioni ambientali esterne e familiari; non esiste l’identikit del bambino ansioso, ma si devono tenere in considerazione diversi fattori: fattori di personalità, la storia familiare (fattori genetici), i fattori sociali e ambientali, gli eventi traumatici a cui si è stati esposti”.

Ci sono delle ansie diffuse?
“Alcuni dei pensieri più comuni riguardano: preoccupazioni per la salute, per la scuola, per catastrofi, legate all’abbandono, alla perdita dei genitori, ai brutti voti a scuola, al giudizio negativo degli altri. Quando queste preoccupazioni si trasformano in angoscia, diventano costanti e la propria vita viene vissuta in funzione di queste. Si innesca così la risposta patologica, fonte di grave disagio. I disturbi più frequenti tra i bambini e gli adolescenti sono il disturbo d’ansia da separazione, la fobia specifica, la fobia sociale, il disturbo di panico (DP), il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e il disturbo post traumatico da stress (DPTS), il mutismo selettivo”.

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“Le paure si associano spesso alla tendenza al perfezionismo, alla ricerca spasmodica di rassicurazione o controllo sugli altri (necessità di avere la sensazione di riuscire a gestire ogni situazione con la conseguente consapevolezza che questo non è possibile e quindi l’inizio del nuovo circolo vizioso dell’ansia). Molti bambini hanno grosse difficoltà di relazione con gli altri, tendono all’isolamento sociale, rimandano attività e così facendo creano sempre meno situazioni in cui mettersi alla prova”.

L’ansia si può trasformare in disturbo prettamente fisico?
“L’intolleranza dell’incertezza e l’impossibilità di controllare tutte le possibili conseguenze degli eventi futuri sono il soggetto della paura; si è alla continua ricerca di dettagli per sapere che cosa potrebbe accadere in una determinata situazione. Associata a una sintomatologia cognitiva ci sono ben chiari sintomi fisici che spesso sono i campanelli d’allarme: mal di testa, mal di stomaco, stanchezza e dolori muscolari, disturbi del sonno, sensazione d’irrequietezza, irritabilità, difficoltà di concentrazione, vuoti di memoria”.

In contesti di questo tipo che ruolo ha il genitore? Come può aiutare suo figlio?
“I genitori possono fare moltissimo nella gestione dell’ansia: è importante dare un nome a queste preoccupazioni, spiegare al bambino cosa è l’ansia, a cosa serve e come funziona, dirgli che non è pericolosa e che nonostante sia qualcosa di eccessivamente fastidioso, ha una durata limitata nel tempo. Mai sminuire la paura che ci viene raccontata, in quel momento essa è vera e pesante per il bambino; anche in situazioni difficoltose bisogna comunque dire la verità e saper stare nell’incertezza. È fondamentale mantenere la calma, dare quindi una risposta diversa, di protezione e accoglienza per permettere un buon rispecchiamento”.

Usare la classica frase: “Ma non è niente” non funziona, allora.
“I bambini devono aver lo spazio mentale per poter elaborare strategie utili di gestione dello stress e della paura; il genitore è la base sicura da cui tornare ma anche la persona che spinge verso l’esplorazione graduale, stando ben attento alle esigenze del momento del bambino (senza affrettare i tempi né attendere troppo). Quando si parla di ansia e blocchi davanti a certe esperienze l’approccio vincente è quello di creare la motivazione nel bambino e quindi sottolineare quotidianamente i successi grandi e piccoli a scuola e fuori, premiando ogni piccolo risultato”.

Quando i genitori devono passare la palla ad uno specialista?
“Nel caso in cui l’ansia sfugga di mano e diventi eccessiva e disfunzionale, è necessario rivolgersi ad uno specialista che indaghi le cause sottostanti e lavori sia con i genitori che con il bambino successivamente per individuare e ridurre i pensieri negativi, aumentare l’autostima e la resilienza (capacità di affrontare e superare uno stress), regolare gli stati emotivi”.

Ci sono casi nei quali è necessario ricorrere ai farmaci?
“La farmacoterapia è raccomandata in combinazione con l’intervento psicoterapico nei casi di grave interferenza funzionale del disturbo o quando non vi sia stata risposta al trattamento. Essa prevede solitamente il ricorso a due classi di farmaci: benzodiazepine e antidepressivi”.

Dottoressa, cosa può dirci rispetto alle prognosi?
“Il decorso dei disturbi d’ansia in età evolutiva è correlato all’età dell’esordio, alla durata dei sintomi, alla coesistenza con altri disturbi ansiosi, depressivi o dello sviluppo: l’insorgenza precoce che non compromette troppo l’inserimento sociale, ha una prognosi migliore del disturbo ad insorgenza tardiva, che si manifesta con il rifiuto della scuola o di altri contesti sociali. Ciò che rende la prognosi più negativa in età evolutiva è la compresenza della depressione”.

Dottoressa, ci sta dicendo che questi sono bambini che potrebbero avere problemi, da adulti?
“È stato appurato che il disturbo d’ansia nell’infanzia e nell’adolescenza si associa a successive difficoltà di separazione nella vita adulta, a disturbi d’ansia e depressione nevrotica, a difficoltà ad andarsene di casa o a cambiare lavoro e all’agorafobia (Flakierska, Lindstrom e Gillberg, 1988; Gittelman e Klein, 1984)”.

Angela De Rubeis