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Amore, la spina da non staccare

Nei giorni scorsi il Vescovo ha visitato Davide Parma, un giovane della parrocchia della Resurrezione, che vive in coma vegetativo da otto anni. Lo ha fatto dopo una lettera che la mamma Amedea gli ha inviato perchè “molto turbata per il caso di Eluana“. “Sento forte, dentro di me, – scrive – la voce di don Oreste che mi incita a non stare zitta ma a far conoscere la mia esperienza”.
“Un incontro che mi ha colpito e commosso – ci dice il Vescovo – soprattutto per l’attenzione che papà e mamma hanno nei confronti del loro ragazzo. L’amore ha operato il miracolo. Da due anni la mamma riesce a comunicare con il figlio tramite gli occhi, tornati espressivi”.
Pubblichiamo integralmente la lunga e forte testimonianza della madre di Davide che accompagnava la lettera.

…“Staccare la spina”.
Cosa vuol dire staccare la spina? La spina che si stacca può essere di un elettrodomestico, non di una vita.
Sono Amedea, la mamma di Davide, un ragazzo di 35 anni in coma da 8 per overdose e se mi permetto di dire queste cose è perché vivo anch’io le sofferenze del padre di Eluana.
Questa situazione io la vivo in casa da 8 anni, ma ora per me non è più sofferenza, è diventata gioia.
Davide è in coma dal 2000, anno del giubileo, nel giorno della festa del papà, una festa che non dimenticherò mai.
Erano le 8 di sera quando abbiamo ricevuto la visita dei carabinieri che ci dicevano che mio figlio era in ospedale, in rianimazione e le sue condizioni erano molto gravi.
Mi ricordo ancora la diagnosi dei medici: Davide era in pericolo di vita e se fosse vissuto non c’era più niente da fare, sarebbe stato per sempre in coma vegetativo: la stessa diagnosi fatta a Eluana.
Una “sentenza” terribile, dolorosa, durissima da accettare.
Dopo 20 giorni, Davide è stato inserito in reparto e qui è rimasto per due mesi e poi è stato portato in una struttura per la riabilitazione.
In questa struttura mio figlio era anche lui intubato e mangiava tramite un sondino naso-gastrico. Stava molto male: aveva delle gravi broncopolmoniti con febbre altissima. Io insieme a mio marito e all’altro mio figlio lo abbiamo assistito continuamente, facendogli sentire che gli eravamo vicini.
Dopo 4 mesi era giunto il momento di dimetterlo da questa struttura e abbiamo chiesto un consulto ad un medico della clinica S. Anna di Ferrara, un centro specializzato proprio per questi casi. Lui ci aveva detto che, siccome erano già trascorsi 6 mesi dall’incidente, lo ritenevano non recuperabile e quindi lo dovevamo mettere in una struttura a lunga degenza (R. S. A.: residenza assistita sanitaria).
Mi ricordo che mio marito, mio figlio ed io ci siamo guardati negli occhi, ma il pensiero era il medesimo: portiamolo a casa. E così è stato.
Prima di portarlo a casa avevo chiesto ai medici di togliergli la tracheo, (perché potesse respirare da solo) e il sondino dell’alimentazione dal naso e in sostituzione gli è stata applicata la “ pec”.
Non portavo più a casa mio figlio, un ragazzo di 27 anni, ma un bimbo da gestire completamente come un neonato. Vivevo solo nella sua camera perché necessitava di cure continue: non ero solo mamma, ma mi ero trasformata (seppure senza competenza) in infermiera e perché no…anche in medico. Azionavo l’ossigeno quando occorreva, gli facevo le punture ed avevo imparato anche a togliergli l’eccessivo catarro con una particolare attrezzatura.
La mia vita non era più la stessa: provavo tanta paura perché non sapevo come fare a gestire questa nuova e drammatica situazione.
I primi due anni per me sono stati una tragedia, una tragedia incondizionata.
Davide aveva lo sguardo nel vuoto, non manifestava alcuna reazione anche se io e i miei familiari continuavamo a stimolarlo, parlandogli tanto e facendogli sentire la nostra presenza e il calore della sua casa.
Avevo pensato di farla finita, perché venivo già da un altro enorme dolore: la perdita di un figlio morto solo a 12 anni in seguito ad un incidente stradale.
Quando sembrava che mi fossi ripresa per la morte prematura di questo mio figlio, mi è crollato di nuovo il mondo addosso.
Per questo dico che l’avrei voluta fare finita, perché provavo un dolore troppo grande, insopportabile, tanto che ho cominciato a farla pagare a me stessa, facendo parecchi sbagli.
Tutto questo per due anni e quindi capisco la sofferenza del padre di Eluana nell’accettare la condizione del suo stato vegetativo.
Ho avuto il privilegio di essere una parrocchiana di don Oreste che mi è stato molto vicino in questi brutti momenti e mi ha sostenuto.
Ad un certo momento nella vita però ognuno di noi deve scegliere: mi sono sentita una gran forza interiore ed ho scelto di vivere per la mia famiglia, soprattutto per Davide che in quel momento particolare aveva bisogno della sua mamma.
E così, dopo 2 anni, quando mio figlio ha percepito che si poteva fidare perché mi sentiva serena e perché capiva che la sua famiglia lo aveva accettato incondizionatamente, ha cominciato a dare dei segnali positivi.
Non vede, non parla, ma lui percepisce le nostre voci, i nostri gesti e sorride.
Ciò è la conferma che la nostra scelta di averlo con noi a casa è stata “una scelta per la vita”, perché lui, seppure i medici dicono che si trova ancora in coma vegetativo, per noi è presente, fa parte integrante della nostra famiglia e soprattutto lo vediamo sereno. Ma non solo. Come diceva sempre don Oreste (e sicuramente lo penserà anche dal cielo) Davide, nel suo silenzio e nella sua immobilità, non è qui a caso: dona a noi familiari e a tutte le persone che lo conoscono una lezione di vita.
Un’ ulteriore conferma l’ho avuta proprio ieri ; mentre mi trovavo dal mio medico di famiglia gli ho chiesto se lui avesse tolto la spina a mio figlio 8 anni fa. Lui mi ha risposto che tutte le persone hanno diritto di vivere, in qualsiasi stato si trovino; se Davide si fosse trovato in una struttura forse non ci sarebbe stato più, perché era veramente molto grave, la sua fortuna è stato il coraggio che avete avuto di portarlo a casa.
E allora questa famosa “spina “ la deve staccare solo il Padre nostro.
Il coma di Davide, una volta accettato, è diventato per me gioia, perché mi basta un suo sorriso, un suo sguardo, anche se è nel vuoto, a donarmi tanta serenità e tutto ciò mi riempie di gioia.
Come posso staccare la spina a questo figlio?
Questo per me è il senso della vita.

Amedea Parma