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Alla scoperta dell’inedito Guercino

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Su di lui, uno dei massimi rappresentanti del barocco internazionale, tanto è stato detto e tanto ancora c’è da scoprire. Giovan Francesco Barbieri, che per lo strabismo all’occhio destro vinse il soprannome di Guercino e le recenti scoperte attribuite al medesimo da parte dell’assessore alla cultura del comune di Rimini, nonché accreditato studioso della Riforma cattolica e del Barocco, Massimo Pulini, hanno catalizzato l’attenzione del terzo incontro del ciclo “I maestri e il tempo”, organizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini.
Guercino e una produzione infinita. Analizzando i dipinti di Guercino, tante sarebbero le considerazioni da fare dal punto di vista dello stile. Sir Denis Mahon, che ha dedicato ottant’anni di fila allo studio del Guercino, da quando aveva vent’anni, in un incontro con Pulini, ha detto a proposito del Guercino: <+cors>“è un tema infinito”<+testo_band>. E non sbaglia, se si pensa che all’ordine del mese sono le scoperte dei disegni realizzati dal pittore che, affascinato dalla pittura di Tiziano si formò alla scuola dei Carracci. Sono circa 6.000 i disegni che ad oggi sono attribuibili al Guercino, grazie alla conservazione che di essi ne fecero i nipoti del pittore. Attivo nella fase preparatoria, altrettanto in quella destinata alla realizzazione di opere con destinazione pubblica: 106 sono le pale d’altare che a lui possono esser attribuite. Questi numeri sono comunque provvisori se si pensa che tante delle opere realizzate dal Guercino furono donate dallo stesso ai committenti che gliele chiedevano senza che venissero registrate nel Libro dei conti.
Nel mezzo del cammin di sua vita, un cambiamento sopraggiunse. Nato a Cento nel 1591, Guercino nel corso della sua produzione artistica, mutò profondamente stile, al punto che Ser Denis Mao parlò di “voltafaccia del Guercino”, come se il pittore fosse colpevole di tradimento. È il 1629, quando anche a Cento, la peste, di cui Manzoni parlò ne I Promessi Sposi, fece strage di donne e uomini. Un evento terribile e inaspettato che insieme all’abdicazione di Alfonso III d’Este, determinò in Guercino un nuovo sguardo sul mondo. Quella data segnò uno scarto nella produzione artica del pittore, al punto che si possono individuare due fasi. Alla prima fase appartengono i dipinti La cattura di Sansone e Erminia e Tancredi. In essi domina la luce calda ed affettuosa, con una morbidezza che non ha eguali nell’opera dell’artista. Sembra che nelle opere di questo periodo vi sia un’ariosità senza eguali, che si esprimerà massimamente nel barocco attraverso lo svolazzamento. È una pittura densa, senza leggerezza, che nasce da una grande sperimentazione del Guercino che consiste nel conferire staticità alla materia, pur nelle densità e corposità della stessa. Esempio di questo periodo sono le decorazioni che realizza per Ludovico Ludovisi, nipote del papa Gregorio XV, in quello che poi verrà denominato Casino Lodovisi, proprio dieci anni prima della realizzazione degli affreschi di Pietro da Cortona e Andrea Saffi in Palazzo Barberini, rappresentanti delle due anime del barocco, l’una sobria e l’altra sovraccarica. Alla luminosità di questa prima fase si sostituisce la rappresentazione fredda  e acuta del secondo periodo, derivante dall’incombere della peste.
Ed è in questo momento di crisi, che nasce il Libro dei conti. Il 1629 non è solo l’inizio della crisi, ma è anche l’inizio della rendicontazione delle opere del Guercino sul Libro dei Conti, gestito e redatto dal fratello fino alla morte del Guercino nel 1666. In esso è contenuta una nota di bilancio del 1650 in cui si parla di una “caparra per un’opera raffigurante l’Assunta nella chiesa di Napoli”. Quando nel 1969 a Detroit apparve una pala raffigurante l’Assunzione della Vergine in cielo, Cammings pensò che quella pala dovesse essere proprio quell’opera di cui si parlava nella nota del 1650…
…ma forse si sbagliava. Infatti Pulini racconta che consultando l’archivio della banca dati http://www.beweb.chiesacattolica.it/, si è imbattuto in una pala conservata ad Aversa nella quale in lontananza si vedevano gli apostoli e un sepolcro, dei quali il Malvasia, biografo del Guercino, aveva parlato, trattando dell’opera del 1650. Tra i motivi che spingono Pulini a  dire che la Pala è da attribuirsi al Guercino, non ci sono solo gli apostoli e il sepolcro che si vedono in lontananza, ma anche il fatto che le Clarisse di Aversa avessero ricevuto dal Papa 6000 scudi nel 1645 per abbellire la chiesa, soldi probabilmente utilizzati anche per il dipinto di Pietro da Cortona nella stessa chiesa.
Guercino ha lasciato il suo segno anche nel riminese. Nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Montescudo di Trarivi, è conservata un’opera – la Testa di San Giuseppe – che fino a poco tempo fa giaceva nell’anonimato. È stato lo stesso Pulini – osservando la tecnica della stempiatura, particolare caro al Guercino – a ritenere che potesse essere attribuita all’autore.
Prendendo spunto da questa nuova attribuzione, Alessandro Giovanardi , curatore della rassegna, lancia un appello: “Sarebbe interessante che le opere sacre non oggetto di culto devozionale e magari poste all’intero delle sacrestie delle nostre chiese, andassero a costituire una museo di arte sacra, magari vicino al museo della Città”.

Sara Castellani