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Abitare responsabili il tempo delle DAT

 

Abitare responsabilmente il tempo delle DAT – Riflessioni dopo la Legge sul fine vita, questo il titolo della conferenza tenutasi lunedì 9 aprile nei locali della Biblioteca Baldini di Santarcangelo, che ha richiamato, oltre ad alcuni amministratori pubblici, circa un centinaio di persone. Il titolo dell’incontro prende spunto dal libro di Padre Carlo Casalone, gesuita, autore di numerosi articoli sull’argomento, docente di Teologia morale della vita fisica a Napoli, laureato in Medicina nel 1981 all’Università di Milano.
Don Andrea Turchini, Parroco di Santarcangelo, ha introdotto i due relatori: Antonio Polselli, Medico oncologo presso l’Ospedale di Cattolica e Presidente del Centro Culturale Paolo VI e don Massimiliano Cucchi, Docente di Bioetica presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” di Rimini.
“Il tema è di grande attualità, estremamente importante e riguarda molte realtà – ha esordito Turchini – e noi siamo chiamati a starci dentro, senza alzare barricate. Sarà un confronto sereno, durante il quale ascolteremo il parere e la spiegazione di un medico e le opinioni di una persona di Chiesa”.

Il dottor Polselli ha iniziato il suo intervento esaminando i vari articoli della Legge 219/2017
“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, entrata in vigore nel gennaio di quest’anno e meglio conosciuta come “Legge sul testamento biologico”.
Ha spiegato che “è una legge che ha favorito molte prese di posizione, prima e dopo la sua entrata in vigore, sia nell’ambito della Chiesa sia all’esterno. Ma è sostanzialmente una buona legge, che ha cercato di tradurre la prassi che si vive nei luoghi di cura e che si attua tra l’équipe medica, il malato e i suoi famigliari”. Polselli ha continuato esaminando i vari articoli della normativa e, in particolare, specificando che “l’art. 1 – Consenso informato – non introduce l’eutanasia, ma al contrario tutela la vita, la dignità e la salute della persona facendo riferimento a una fonte autorevole, la Costituzione italiana, il cui art. 32 infatti prevede che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Non si avvia dunque nulla di nuovo, ma si esplicita quanto già stabilito.”
Il relatore si è soffermato sulla valorizzazione attribuita alla relazione di cura tra medico e paziente (ed eventuali famigliari, conviventi e/o persone di fiducia dello stesso), relazione che – essendo un processo – muta e stabilisce un’unione tra autonomia decisionale del malato e professionalità, competenze e responsabilità del professionista e di tutta l’équipe medica. Ha poi illustrato in maniera esauriente alla platea come il paziente possa in ogni momento revocare o modificare quanto in precedenza stabilito nel consenso prestato, come il medico sia tenuto a rispettare la volontà espressa dalla persona che ha in cura e anche di come, però, il malato non possa esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali. Il dottor Polselli ha poi chiarito che il medico curante deve in ogni caso adoperarsi per alleviare le sofferenze del paziente (art. 2 della Legge) e che, a tal fine, è sempre garantita una idonea terapia del dolore attraverso l’erogazione di cure palliative. Inoltre lo specialista deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e/o da trattamenti inutili o sproporzionati per quei malati che hanno prognosi infauste o nei casi in cui si prospetti una morte imminente (cosa tra l’altro già prevista dall’art. 16 del Codice di deontologia medica). È stata un’esposizione accurata e profonda quella del Dr. Polselli, che ha incentrato la relazione sull’analisi dei vari punti della nuova legge ma – al contempo – sulla politica già adottata dai medici che, col loro giuramento professionale, affermano tra le altre cose di “astenersi dall’accanimento diagnostico e terapeutico e di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo della sofferenza”.

Nel suo intervento don Massimiliano Cucchi ha catturato immediatamente l’attenzione del pubblico mostrando le fotografie di alcuni personaggi che, in tempi recenti, hanno lasciato questa vita terrena e attorno ai quali l’opinione pubblica ha ampiamente dibattuto e si è divisa su diversi fronti.
La prima foto apparsa sullo schermo è stata quella di Giovanni Paolo II che, nel 2005, durante gli ultimi giorni della sua vita, rifiutò il ricovero in ospedale chiedendo ai medici di lasciarlo tornare alla Casa del Padre. E poi quella di Piergiorgio Welby che, nel 2006, scrisse una commovente lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dove chiedeva di poter ottenere l’eutanasia, dicendo “… fino a due mesi e mezzo fa, la mia vita era sì segnata da difficoltà non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con l’ausilio del mio computer, scrivere, leggere, incontrare gli amici su internet. Ora sono sprofondato in un baratro da dove non trovo uscita… Ogni giorno vado peggio, sempre più debole e stanco. … aspettando che arrivi l’ora della compressa del Tavor per addormentarmi e non sentire più nulla e nella speranza di non svegliarmi la mattina. Io amo la vita, Presidente, ma quella che mi è rimasta non è più vita…”. E poi ancora la foto di Eluana Englaro, la giovane donna italiana che dopo un incidente stradale visse in stato vegetativo per 17 lunghi anni. La richiesta della famiglia di interrompere l’alimentazione forzata scatenò un feroce dibattito sui temi legati alle questioni di fine vita. Dopo un lungo iter giudiziario, l’istanza venne accolta dalla magistratura e nel 2009 la ragazza fu condotta a Udine dove furono sospese la nutrizione e l’idratazione artificiali e dove – sotto una profonda sedazione – dopo soli due giorni morì.
Nel 2012 anche il cardinal Carlo Maria Martini, affetto da una malattia degenerativa, chiese di non essere idratato e nutrito artificialmente; optò per la sedazione affermando che “…occorre distinguere tra eutanasia e astensione dall’accanimento terapeutico, due termini spesso confusi. La prima si riferisce a un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte; la seconda consiste nella «rinuncia all’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo; evitando l’accanimento terapeutico non si vuole procurare la morte: si accetta di non poterla impedire (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2.278, ndr), assumendo così i limiti propri della condizione umana mortale”.
E poi ancora Fabiano Antoniani, conosciuto dai più come DJ Fabo, l’uomo che a 39 anni ha trovato volontariamente la morte in Svizzera poco più di un anno fa.
Nel dialogo che è seguito con il pubblico, don Cucchi ha colto l’occasione per illustrare che nel contesto attuale manca un confronto disteso ed appaiono – al contrario – in modo sempre più evidente le divergenze, le appartenenze e le ideologie. Ha esplicitato all’uditorio che la legge sul biotestamento stabilisce un’alleanza tra paziente e medico, che l’aspetto più importante è il fatto che ne esca fuori il “prendersi cura”, che vinca il concetto di “relazione”, che sussiste anche davanti alla morte.

Roberta Tamburini