Home Storia e Storie 1939-1945: una guerra, due uomini

1939-1945: una guerra, due uomini

Questo mi ricordo. Mi ricordo che il 16 maggio 1940 le truppe tedesche avevano sfondato le fortificazioni della linea Maginot francese anche perché la linea era stata aggirata dalle truppe naziste provenienti dal Belgio (già invaso dai tedeschi). I francesi per evitare l’intervento dell’Italia avevano intanto promesso compensi territoriali in Tunisia, Algeria e nella Somalia francese. Ma il 28 maggio dello stesso anno l’esercito belga si era arreso ai tedeschi e l’Olanda era stata sconfitta. Mussolini preparava l’intervento e al maresciallo Badoglio, nel rimproverarlo perché sosteneva che non eravamo pronti militarmente, disse : “Dobbiamo entrare subito, perché io ho bisogno di almeno un migliaio di morti per sedermi al tavolo della pace come belligerante.” Il 10 giugno 1940, l’Italia dichiarava guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Il 27 settembre veniva stipulato il Patto tripartito tra Italia, Germania e Giappone e il 28 ottobre l’Italia attaccava la Grecia.

Io all’epoca…
Io all’epoca avevo 14 anni ed ero il terzo di 4 fratelli. Ero passato come tutti gli studenti dalla fase di balilla a quella di avanguardista. Abitavo in corso Umberto I (ora corso Giovanni XXIII) dove c’era il caffè Roma, frequentato abitualmente da antifascisti, e spesso qualche “sovversivo” veniva prelevato e accompagnato in commissariato. Non capivo niente di politica, però ricordo che dei giovani trentenni, prima della dichiarazione di guerra, erano convinti di andare a combattere contro la Germania. Ogni giorno la radio dava notizie della guerra, che però per noi era lontana, e si apprendevano solamente le iniziali vittorie delle nostre forze armate. Poi le gravi conseguenze non tardarono a manifestarsi fino a quando col prolungarsi delle ostilità, la vita cittadina cambiò. Varie famiglie cominciarono a lasciare la città, il commercio languiva, le industrie difettavano di materie prime; c’erano oscuramento e coprifuoco, e il razionamento alimentare. Ogni famiglia aveva una carta annonaria con la quale doveva prelevare le razioni stabilite per ogni persona: due etti di pane al giorno, che poi diventarono un etto, quattro etti di carne al mese e, sempre mensilmente, mezzo chilo di
zucchero, un chilo di patate. Non c’erano più il caffè e il sapone. Il pane poi non era più di sola farina di grano, ma misto col granoturco o altro (pane nero!). La Germania nel giugno 1941 attaccò anche la Russia e Mussolini volle far partecipare a quella campagna anche un corpo di spedizione italiano che poi diventò un’armata (ARMIR). Ma le sconfitte furono numerose su tutti i fronti. Nel marzo 1941, la nostra flotta subì gravi perdite a capo Matapan nella battaglia contro la flotta inglese; nell’Africa orientale (Etiopia) si perse l’impero; sconfitte anche in africa Settentrionale.

Mio fratello
in guerra

Nel gennaio del 1943, mio fratello Walter non ancora ventenne, venne chiamato alle armi. Il 6 aprile 1943 io fui assunto come impiegato all’Ufficio tecnico della società telefonica TIMO (oggi Telecom). Una disposizione dell’epoca ci aveva militarizzati, gli impiegati erano considerati ufficiali. Il 10 luglio 1943 gli alleati sbarcarono in Sicilia. Ci furono i primi scioperi a Torino e Milano.
Ma il 24 luglio 1943, dopo circa tre anni, venne convocato il Gran Consiglio del fascismo che approvò (con 19 sì, 1 astenuto e 8 no) un Ordine del giorno che invitava Mussolini a rimettere il comando delle forze armate al re, riconoscendo in effetti la responsabilità della sconfitta…e poi nell’armistizio dell’8 settembre. I soldati e gli ufficiali lasciarono le caserme, molti tornarono a casa, altri diventarono partigiani. Mussolini prima catturato, poi liberato. Al suo ritorno in Italia comunicò agli italiani che era nata la Repubblica Sociale Italiana, per riprendere la guerra a fianco della Germania.

Il dramma
di Rimini

E cominciò il dramma di Rimini, sia per l’occupazione nazista, sia per gli eventi bellici. Un giorno venne nel mio ufficio un tenente tedesco arrabbiatissimo e non essendoci il direttore e il capo tecnico, parlò con me, ordinando che sia io sia altri meccanici, andassimo fuori a controllare le linee telefoniche esterne perché avevano fatto un sabotaggio ed era crollata una parte della palificazione.
Siccome mi sembrava un ordine insensato – lasciare centrale e sede quasi vuote per andare a fare quel servizio fuori – ne parlai con un maresciallo dei carabinieri che mi accompagnò, con un collega, al comando tedesco vicino a Castel Sismondo. Il comandante capì che non avevamo torto e ci dispensò da quell’ordine.
Uscimmo dal comando tedesco che era tardi ed eravamo oltre l’orario del coprifuoco e trovammo in Via Sinistra del Porto, dove ero andato ad abitare, due militari tedeschi che minacciarono di spararci per poi deriderci. Il primo novembre 1943 ci fu il primo bombardamento della città da parte degli angloamericani. Era un giorno di festa e io e mio fratello Walter, che era ritornato a Rimini dopo l’ armistizio andammo a trovare i miei nonni che abitavano in Viale Regina Elena. Sentimmo suonare l’allarme; non ci facemmo caso perché anche in precedenti occasioni, dopo gli allarmi, non si erano verificate incursioni aeree nemiche. Ma quel mattino le bombe distrussero parecchi edifici, anche il rifugio antiaereo che era stato costruito in via Vittime civili di guerra, dove si trova oggi una sede dell’università, che era distante circa 100 metri dalla casa dove io avevo abitato. Quel giorno a Rimini ci furono 92 morti e 142 feriti. Non capimmo dove avessero colpito esattamente e, terminato il bombardamento, corremmo subito verso la nostra abitazione per verificare gli eventuali danni ai nostri familiari e alla casa, ma fummo fermati da un ufficiale tedesco che ci intimò di andare a sgomberare le macerie alla stazione, consegnandoci ad un carabiniere italiano. Quando il tedesco se ne andò, pregammo il carabiniere di lasciarci scappare, vista la grave situazione per i civili e lui acconsentì. Fortunatamente la nostra casa quel giorno non subì alcun danno. Seguirono i bombardamenti del 26 e 27 novembre e del 28-29-30 dicembre; e quello del 28 fu il più terrificante. Io mi trovavo al lavoro in Piazza Mazzini e scappai verso la via Marecchiese. Ad un certo punto vidi una squadra aerea che veniva verso la mia direzione bombardando; mi gettai a terra in mezzo ad un campo e mi ritrovai abbracciato con un collega che mi aveva seguito e ci salvammo perché… si vede che non era il nostro destino.

La nostra fuga
Durante la guerra, Rimini ha subito 396 bombardamenti aerei, navali, terrestri. Sono morti 600 civili, distrutti 4.189 fabbricati, danneggiati gravemente altri 3.155 e lesionati 1997, in totale 9.341 cioè 1’83,02 %, il più alto fra le città italiane con più di 50mila abitanti. Gli uffici della Timo dove ancora lavoravo erano sfollati a Savignano sul Rubicone, la mia famiglia era sfollata a Santarcangelo di Romagna e poi a Poggio Berni e alle Fratte di Torriana. Ma nel giugno 1944 la Repubblica di Salò chiamò alle armi i nati nel primo quadrimestre del 1926 ed io avevo compiuto da 3 mesi i 18 anni. Chi non si presentava, veniva condannato a morte. Non risposi alla chiamata e come renitente, se fossi stato arrestato mi avrebbero fucilato.
Fino al 21 settembre 1944, data della liberazione di Rimini, con mio fratello vissi alla macchia nascondendomi con altri che erano nelle mie condizioni, in vari rifugi…

(1-continua)
Amos Piccini

Walter Piccini racconta la sua guerra nel volume Scatarac’.